Il film The Circle solleva diversi spunti di riflessione molto cari a noi che lavoriamo nella comunicazione e nel marketing digitale.
Hollywood da sempre ama rappresentare scenari apocalittici legati al progresso tecnologico che vive (e talvolta, subisce) l’umanità. I più giovani non ricorderanno un film con il mitico Schwarzenegger, The Millennium Bug, sull’onda della paura del bug del 2000 ( si temeva un potenziale difetto informatico tra il 31 dicembre 1999 e il 1º gennaio 2000 nei sistemi di elaborazione dati, sia personal computer che grandi elaboratori, il problema si rivelò poi di minor portata del previsto).
Molti di questi film, compreso il film di Schwarzenegger, hanno fatto flop sia al botteghino che nella realtà dei fatti. Altri invece hanno azzeccato in pieno le loro previsioni. Altri ancora, ma in questo caso parlo di serie televisive, sollevano questioni e dipingono situazioni paradossali ma molto vicini alla realtà (mi riferisco alla fortunata serie di Netflix, Black Mirror).
Nel caso di The Circle il riferimento è diretto ai colossi del web come Facebook, Google, Apple e Amazon. The Circle è un immaginario e diffusissimo Social Network, intorno cui ruota il romanzo omonimo di Dave Eggers (2013, Mondadori) e portato sullo schermo da James Ponsoldt.
Prima però una trama veloce veloce.
Trama in 5 righe
Mae Holland, la protagonista, giovane ragazza il cui padre è affetto da sclerosi multipla, lavora con evidenti segni di frustrazione presso un call center. La sua amica Annie riesce a fissarle un colloquio con l’azienda per la quale lavora, The Circle, una sorta di mega azienda del web in espansione, a metà strada tra Google, Facebook ed Apple.
Un film da guardare, ecco perché
Condivido alcuni aspetti che mi hanno colpito e che riscontro nella vita di “digital worker nel campo dei social”. In particolare il lessico e il “modus vivendi” che appartiene ai dipendenti di The Circle. La protagonista inizialmente si trova catapultata in una nuova realtà e deve presto adattarsi a un modo di parlare e di pensare che sin qui non le appartenevano.
Ho notato che spesso noi del settore dei Social Media, tendiamo a utilizzare le nostre espressioni da “rivoluzione digitale” anche al di fuori del nostro mondo.
Quante volte mi è stato chiesto di non usare l’inglese o termini troppo tecnici, prima dei corsi di formazione? Ogni volta cerco di adattarmi ma ho come l’impressione che sia sempre più difficile tradurre termini e concetti dall’inglese digitale all’italiano.
L’altro tema che mi ha colpito particolarmente riguarda l’annosa dicotomia privacy-pubblico.
È possibile trovare un punto di equilibrio tra i benefici effetti di un villaggio globale permanentemente collegato online e il diritto del singolo individuo al rispetto della propria privacy?
Recentemente 2 notizie mi hanno scosso nel bene e nel male.
Nel male: un ragazzo che invece di prestare soccorso in seguito a un incidente, si mette a filmare una diretta su Facebook quanto sta succedendo (!).
Nel bene: grazie a Facebook si è innescata una incredibile gara di solidarietà per trovare un donatore di midollo osseo per Elisa, 3 anni, di Pordenone, affetta da una forma rarissima di leucemia.
Sono due lati della stessa medaglia. Senza la rivoluzione digitale e tecnologica in atto non avremmo letto né una notizia né l’altra.
Conclusioni
Purtroppo devo dire che il finale del film, (non lo svelo e non lo commento per ovvi motivi), sembra un filino superficiale. D’altra parte non è facile affrontare queste dinamiche che stiamo vivendo. Il rischio di impantanarsi nella palude delle banalità e dei luoghi comuni è molto alto.
Non è un film epocale, ma lo consiglio ugualmente proprio per le riflessioni che inevitabilmente suscita. Peccato solo per Tom Hanks, uno dei miei attori preferiti, l’interpretazione in questo film non mi ha convinto per niente.